Stefania Meniconi è l’autrice di Dante Alighieri, giovane tra i giovani. Cinque studi sulla vitalità di Dante, edito da Gingko edizioni. Laureata in lettere alla Sapienza di Roma, è stata allieva, tra gli altri, di Alberto Asor Rosa, di Ignazio Baldelli e di Luca Serianni. Dal 2012 collabora con la Gazzetta di Foligno, per la quale si è occupata anche di una rubrica riguardante le rappresentazioni del mondo giovanile nella musica e nella letteratura. Soprattutto, però, è un’insegnante di Liceo, e da anni sperimenta l’attualità di Dante anche presso le nuove generazioni.
Di che cosa parla la sua opera?
Forse intorno a nessun poeta come su Dante, si raccoglie il consenso unanime di quanti gli si accostano: lettori di qualsiasi estrazione culturale, di ogni strato sociale, perfino non italofoni riconoscono facilmente la grandezza del poeta. Dante piace a tutti. Ed è stato sempre così, da quando – Dante era ancora in vita ed ancora attendeva alla composizione dell’opera – i notai bolognesi cominciarono a trascrivere le terzine dantesche sui margini bianchi dei loro atti. Da quando – ne parlano in una lettera tra loro Boccaccio e Petrarca, Boccaccio più ammirato, Petrarca un po’ più rancoroso – semplici artigiani per le strade di Toscana e d’Italia recitavano a memoria la Commedia. Dopo settecento anni ciò che stupisce di questo poeta è che sia ancora in grado di proporsi all’attenzione del lettore con tutta la forza evocativa del suo linguaggio, con la grandezza della sua costruzione, con la potenza del suo messaggio. Dante è ancora attuale e la sua capacità di comunicare non si è ancora affievolita. Dante, costruttore di mondi e costruttore di linguaggi, parla ancora a tutti noi. Dante è vivo. Nessuno lo sperimenta con più chiarezza di chi insegna Dante nelle scuole, a giovani che sembrano lontani anni luce dal Medioevo del poeta, e invece si sentono ancora toccare dalla bellezza di quei versi. So con certezza – sono i ragazzi stessi che lo dicono – che certi canti della Commedia fanno ancora accapponare la pelle quando vengono letti insieme: sentire Francesca e il racconto del suo disperato amore, ascoltare il grido dei bambini morenti di fronte a Ugolino impietrito dal dolore, stupirsi del modo deludente in cui Beatrice accoglie Dante la prima volta che lo incontra nell’aldilà sono esperienze che emozionano sempre e non saranno facilmente dimenticate.
Com’è nata l’idea di scriverla?
Condividere queste sensazioni con i miei alunni, anno dopo anno, mi ha convinto ad indagare più a fondo le ragioni della vitalità dantesca, per capire su quale strana alchimia sia basata la forza immortale del suo capolavoro. Ho piano piano cominciato a capire che la forza della lingua di Dante sta nella potenza evocativa dell’insieme, che sa trasmettere il messaggio al di là della decodifica della singola parola. I settecento anni che ci separano da quella poesia non sono una barriera impossibile da superare e il senso delle parole sta a volte semplicemente nelle radici da cui sono formate. Sono parole dantesche, inventate da lui a partire da materiale grezzo: radici latine o volgari innestate su certi prefissi o suffissi, tutti elementi costruttivi già disponibili nella lingua corrente, ma riorganizzati in modo creativo a dare origine a combinazioni assolutamente inedite. Altre volte invece la materia prima è il semplice potere evocativo di certi suoni combinati tra loro secondo costanti associative che si ripetono nel testo. Per esempio il gruppo muta + r tipico dell’Inferno… Non mancano nel serbatoio linguistico dantesco anche suoni onomatopeici, provenienti dal mondo circostante e che Dante osserva con un’attenzione onnivora per la realtà, che finisce per portare dentro al testo della Commedia perfino le sillabe della lallazione infantile. Il tutto, passato attraverso il maglio creatore di questo straordinario artefice del linguaggio. Quello che voglio dire è che molte di queste parole erano sconosciute anche ai lettori dei tempi di Dante, almeno finché non è stato proprio il testo dantesco ad introdurne l’uso nella lingua. Non pensiamo perciò che i lettori di oggi siano così tanto in difficoltà nel comprendere il senso d’insieme dei canti della Commedia. Noi moderni, anzi, abbiamo dalla nostra il fatto che molte parole inventate da Dante ormai sono nella lingua di tutti i giorni, cosa che non era tale quando il poeta fiorentino per la prima volta le ha partorite alla luce del suo mondo poetico. La decodifica della Commedia non può essere dunque affidata solo ad un’arida e certe volte inutile parafrasi: questi versi vanno riletti con la vita che essi racchiudono, e che da essi sprigiona.
Ma la vitalità del capolavoro dantesco sta anche nell’aver toccato elementi base dell’umano che, per fortuna, non sono ancora tramontati. Parlare alle generazioni future di amore, amicizia, bellezza, ma anche di sofferenza, dolore e morte ha permesso a Dante di continuare a rivolgere un messaggio vicino al cuore dei lettori, anche giovanissimi, che si accostano alla sua opera. E aprire delle prospettive sulle domande di senso, sull’idea di Dio, non è forse ancora inutile in un contesto culturale come quello odierno che è tutto e completamente appiattito sulla contingenza. Riflettere sulle tematiche dantesche può a volte servire dunque a sottolinearne l’immortalità, la vicinanza al nostro sentire, altre volte a marcare la differenza storica da noi, per notare come alcune cose sono cambiate nei secoli, il che aiuta anche a storicizzare e a relativizzare l’assoluto presente in cui i giovani oggi si trovano a vivere. Insomma quello che ho cercato di fare nel mio libro è appunto, come dice il sottotitolo, percorrere cinque piste di studio sulla vitalità di Dante, chiedendomi perché e come la forza della poesia della Commedia non sia ancora tramontata. E le risposte che mi sono data sono a volte più tecniche, condotte con metodi filologici o comunque di analisi testuale, altre volte basate sull’osservazione e la rilevazione di quello che di Dante c’è ancora nel mondo di oggi: nelle canzoni, nelle poesie, nei proverbi, nel cuore della gente. Mi sono per esempio fatta dire dai miei studenti, in un’indagine durata per anni, quali passi della Commedia colpiscono di più la loro fantasia, o restano nella loro memoria. Con esiti a volte prevedibili, a volte nient’affatto scontati. Sempre emozionanti, però. In uno studio centrale del libro ho anche raccontato storie vere di persone a cui la lettura di Dante è servita a rimanere agganciate alla vita e alla propria umanità quando si trovavano ad un passo dalla morte.
In che modo potrebbe essere utile ad altri docenti che vogliano intraprendere nuovi percorsi didattici su Dante?
Capita a volte, nel nostro difficile lavoro, di attraversare dei momenti di scoraggiamento, in cui sembra impossibile riuscire a trasmettere questi messaggi. Dante in DAD… Cosa si può comunicare? Mai come oggi, però, ne abbiamo bisogno, oggi che siamo un po’ tutti exules immeriti come lui. Esuli dal nostro modo normale di fare scuola, di essere a scuola, di vivere la scuola. Esuli nelle nostre case, separati, lontani da noi stessi, sbandati e alla ricerca di un senso nuovo. Dante più di ogni altro autore del nostro percorso può accompagnarci fuori dalla burella, “a riveder le stelle”, dicono i più, di fronte a “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, direi io. Perché se vogliamo uscire da tutto ciò dobbiamo non solo sforzarci di ricordare che esistono le stelle, ma è necessario saperle di nuovo guardare con amore e gratitudine, e mi perdonino i dantisti se qui forzo leggermente la parafrasi dell’ultimo verso del poema. Che utilità può avere il mio libello in questo percorso? Molti colleghi sanno già come fare, e certo il mio è solo uno dei tanti modi per accostarsi a Dante. Non è il solo e non è detto che sia il migliore. È solo quello che viene bene a me. Ma chi fosse in cerca di idee o di spunti per una rilettura fresca del testo dantesco, per un approccio divulgativo più coinvolgente che esca dal meccanismo a volte noioso di lettura, parafrasi e panoramica critica sul canto, che tante volte uccide un po’ la bellezza della poesia, in questo libro potrà trovare delle strade possibili, da quella strettamente linguistica a quella di attualizzazione del messaggio. Il libro finisce con dieci percorsi tematici di attraversamento delle cantiche che indagano altrettanti temi trasversali e che consentono di superare l’unità del singolo canto alla ricerca di rimandi interni, che possano costruire una rete unitaria di senso: il mondo di Dante.
Il libro però non è solo una guida didattica o un manuale per insegnanti, anzi, non è nulla di questo. È piuttosto un tentativo di rispondere alla domanda: perché Dante affascina i lettori da settecento anni? Qual è il suo segreto? Il pubblico a cui il libro si rivolge perciò è assolutamente vario: basta aver conosciuto un po’ l’opera e ricordarsi di averla amata, senza saper bene il perché. In cuor mio, scrivendo, ho pensato ai tanti ex-alunni che incontro per strada dopo anni e che, salutandomi, mi dicono: “Prof, mi mancano le sue lezioni. Mi manca quando spiegava Dante con tutta la sua passione…” oppure: “Si ricorda, prof, quando siamo stati a Cassino, a Civitanova, alla Festa di Scienza e filosofia a Foligno a parlare di Dante?”. Certo, ragazzi, che mi ricordo. Mi ricordo dei vostri lavori, voi che avete studiato al Liceo scientifico dove insegno, e mi avete fatto vedere Dante dal vostro punto di vista: il concetto di moto basato sulla fisica di Aristotele, gli studi sulla luce, l’ottica, la numerologia… Ma Dante è ancora qui, nelle pagine della Commedia: potete continuare il vostro viaggio insieme a lui…
Ecco per chi ho scritto questo libro, ed ecco perché: per dire quanto bene può ancora fare la grande poesia. Una volta finita l’opera, ho capito però che dovevo dedicarla a tutti i miei colleghi, perché l’opera in realtà è scritta virtualmente insieme a loro, con l’ammirazione per tutto il lavoro che ciascuno di loro sa fare per trasmettere ai giovani la passione per Dante.