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)Professore ordinario di Linguistica italiana presso l’Università di Pavia, Giuseppe Antonelli ha di recente pubblicato il volume Il Dante di tutti. Un’icona pop, edito da Einaudi. Lo abbiamo intervistato con alcune domande su questo suo ultimo importante contributo.
Nel suo libro lei mostra che Dante diviene popolare in tanti modi diversi, soprattutto a partire dall’Ottocento: quali le sembrano le tappe decisive nella costruzione di questa mitologia pop?
Come testimonia anche l’ispirazione del recente film di Pupi Avati (forse l’ultimo episodio, in ordine di tempo, di un certo culto popolare di Dante), la preistoria di questa dimensione si può far risalire addirittura a Boccaccio. Dalle sue letture pubbliche riceve senz’altro un decisivo impulso quella fortuna pop-orale che arriverà fino alle declamazioni televisive di Benigni (passando, tra l’altro, per le citazioni canzonettistiche).
Volendo partire dall’Ottocento, una tappa decisiva va individuata anche per quest’aspetto nelle celebrazioni del centenario 1865. Culmine del culto risorgimentale di Dante e spunto decisivo per tante iniziative di divulgazione editoriale, ma anche punto di svolta per l’inizio dello sfruttamento commerciale dell’immagine del poeta e dei suoi versi. «Sento cantar per via: spille di Dante a quattro soldi!» – scriveva in quei giorni Francesco De Sanctis da Firenze – «Ne ho presa una, come curiosità e memoria. Hanno reso ridicolo Dante. Vendono perfino i confetti di Dante!».
In quegli anni veniva pubblicata in Francia l’edizione illustrata di Gustave Doré, che avrebbe rapidamente riplasmato l’immaginario visivo del poema e mezzo secolo dopo sarebbe stata consacrata dal primo Inferno cinematografico del 1911 («Questa cinematografia ha fatto rivivere l’opera di Doré», commentava Matilde Serao). Un’altra tappa decisiva, questa: anche alla luce della successiva fortuna dei tanti film a tema dantesco, sui cui molto presto si mette al lavoro anche Hollywood. Significativa la reazione del piccolo Ramerino, protagonista dell’omonimo libro per ragazzi del 1925, che – davanti a un manifesto in cui è scritto «Quanto prima grandiosa film americana L’inferno di Dante» – si leva stizzito il berretto ed esclama: «Tutti l’hanno con l’Inferno!… Anche gli americani! Se lo tengano in America se a loro piace!».
Doré ciak gulp è il titolo del quinto dei nove capitoli del mio libro. E in effetti per la fortuna delle parodie dantesche un momento di svolta andrà individuato proprio nella pubblicazione di un fumetto. L’Inferno di Topolino (1949/50), con il suo «italiano topolantico» (secondo la definizione di Daniela Pietrini) e il suo continuo gioco eroicomico tra alto e basso: basti l’esempio di Pluto rappresentato con le fattezze del cane di Topolino. Da lì prenderanno le mosse sia gli sketch nazional-popolari dei Caroselli sia le parodie aristo-pop alla Umberto Eco.
Come ultima data sceglierei quel 2010 in cui viene messo sul mercato, a coronamento di una trentennale tradizione di giochi per computer a tema dantesco, il videogioco Dante’s Inferno.
Dante – muscolosissimo eroe che, armato di tutto punto, cavalca un bianco destriero – è qui un reduce dalle crociate sceso all’Inferno per liberare l’amata Beatrice rapita da Lucifero. Una sorta di punto di non ritorno.
Le parodie e le versioni comiche della Divina commedia sono state numerose, tra canzoni e fumetti, ma negli ultimi anni spesso i suoi versi vengono usati nel web, per esempio nei memi. Come si potrebbero definire le tendenze più recenti?
A proposito di fumetti e di social network. Ha fatto un certo rumore l’anno scorso il deputato della Lega Rossano Sasso, all’epoca sottosegretario all’Istruzione, che in un suo tweet scriveva: «“Chi si ferma è perduto mille anni ogni minuto” (Dante Alighieri)». Citazione non altrimenti nota, perché ricavata dal XV canto della parodia Disney in cui Dante/Topolino incontra – con edulcorata allusione a Brunetto Latini – il suo antico maestro di scuola, costretto a correre tra le fiamme.
Nei mesi scorsi, ho seguito la tesi di una laureanda in Scienze della comunicazione (Luisa Martina) che ha analizzato la presenza di alcuni passi danteschi ormai proverbiali in un corpus di oltre tremila tweet inviati nel corso del 2021 (tra i più ricorrenti in assoluto: «Lasciate ogni speranza, voi che entrate» e «E quindi uscimmo a riveder le stelle»). Quello che colpisce, di là dalle varie e un po’ inevitabili deformazioni del testo originale, è che una percentuale notevole di questi tweet proviene da utenti non italiani, a riprova di una fortuna pop ormai largamente internazionale; e che la gran parte non appare in un contesto letterario o intellettuale: ma, al contrario, è usata per connotare momenti di vita quotidiana. Non mancano anche i tweet d’argomento politico, secondo una tradizione ben rappresentata anche negli interventi alla Camera dei deputati dal 1848 a oggi (ho studiato questo tipo di dantismi in un saggio attualmente in corso di stampa).
Lei ha anche curato la mostra Dante. Un’epopea pop al MAR di Ravenna per le celebrazioni del 2021, nella quale erano esposti moltissimi oggetti realizzati partendo dall’immaginario dantesco. Che cosa l’ha colpita particolarmente durante la realizzazione?
La prima cosa è stata (a proposito di immaginario) immaginare un percorso organico che riuscisse a raccontare, tenendoli insieme, i tanti aspetti della ricezione popolare di Dante: dalla fortuna trecentesca – appunto – fino ai videogiochi, dal Dante santo laico al Dante testimonial, dall’iconografia delle edizioni illustrate a quella dei fumetti, dal culto della memoria alla parodia. L’obiettivo è stato indagare la storia di ciascuno di questi aspetti, cercando di ricostruire l’origine e l’evoluzione delle tante facce di quel Dante che nel tempo è diventato un’icona pop. Un tema leggero, un approccio filologico.
A quel punto con Giovanni Boccardo e Federico Milone, che mi hanno aiutato nel lavoro di ricerca, abbiamo cominciato a scandagliare in maniera mirata vari tipi di fonti primarie da cui poter trarre le indicazioni utili per tradurre queste storie in oggetti: non solo libri, ma anche fumetti, diari, cartoline, manifesti, francobolli, banconote, disegni, film, spot, canzoni, voci, vetrini di lanterne magiche, scatole di sigari e di fiammiferi, latte d’olio, busti di gesso e di bronzo, riproduzioni in miniatura di monumenti. Tutte testimonianze concrete del progressivo trasformarsi nel tempo dell’immagine di Dante, rappresentate nella mostra anche in forma multimediale: schermi, proiezioni, sala cinema e un juke box in cui ascoltare tutte le – tante – canzoni in cui si cita Dante.
Trattando di Dante, ovviamente, era impossibile cercare cose davvero nuove. Altrimenti avremmo corso il rischio di ripetere il finale di quel filmato della Settimana Incom del 1955 (nella mostra c’era) in cui la scoperta a Firenze di autografi danteschi si rivela nient’altro che un pesce d’aprile. Scherzi a parte, la nostra intenzione è stata valorizzare una serie di documenti e di oggetti che finora non erano mai stati messi in mostra e contestualizzarli in una ricostruzione storica complessiva.
Ad esempio i ritrattini di Dante che lettori e lettrici disegnavano sui margini delle loro edizioni della Divina commedia (li abbiamo scovati tra mostre-mercato e cataloghi di librai antiquari). O i progetti originali delle dark ride, i tunnel dell’orrore a tema dantesco realizzati nei parchi giochi americani nella seconda metà del secolo scorso da ditte italiane, e i disegni originali delle cartoline satiriche a tema dantesco di Guido Baldassarre, diffusissime durante la Grande guerra. O ancora fumetti danteschi molto rari e la collezione più completa mai messa insieme finora con oggetti a brand dantesco e pubblicità ispirate a Dante. Di tutto questo resta traccia nel catalogo pubblicato da Silvana editore.