È uscito recentemente per i tipi di Minerva il primo romanzo dello storico Roberto Balzani, professore di storia contemporanea dell’Università di Bologna, dal titolo Il mistero delle ossa di Dante. Lo abbiamo intervistato per scoprire qualche curiosità in più sulla sua opera.
Com’è nata l’idea di questo romanzo, scritto da uno storico di professione come lei?
L’idea è nata dalle carte. Sfogliando una raccolta di documenti inediti sulle celebrazioni dantesche del 1865 a Ravenna, mi sono reso conto che alcuni passaggi non erano chiari. Ho cercato di approfondirli, come deve fare un ricercatore serio. Ma non sono riuscito ad andare oltre un certo limite. Le ipotesi restavano fragili. E così, ho deciso di scrivere un racconto ‘sotto dettatura’ delle carte, compiendo un percorso rovesciato rispetto a quello che, di norma, fanno i romanzieri che si occupano di storia. Io non ho cercato pezze d’appoggio a conferma di un impianto narrativo; mi sono limitato a collegare fra loro sequenze di eventi reali, filamenti di senso persi nel passato.
Il personaggio principale, l’archivista Michele, trova molti documenti ma non la verità sulla riscoperta delle ossa di Dante nel 1865: come mai?
Michele non ha in mente un’inchiesta: per lui, all’inizio, il 1865 è solo l’anno magico del ritrovamento delle ossa di Dante, da tramandare ai posteri. Cammin facendo, spigolando fra le aporie, comincia a pensare che le cose non siano così semplici ed evidenti come pensava; ed elabora congetture, molte delle quali oziose, altre difficili da provare. Non trova la verità, o, meglio, crede di immaginare alla fine un senso complessivo retrospettivo, in grado di cucire quello che ha vissuto, perché l’ostinazione intorno alle ossa tende a deviarlo dal cuore del problema: non tanto l’identità degli oggetti biologici, quanto le narrazioni alimentate dal loro potenziale simbolico.
Qual è il senso oggi del culto di un autore famoso? È ancora importante per lo spirito di una nazione o è più simile a quello dei fans dei cantanti o degli attori defunti?
Bisogna distinguere, credo, il Dante “da centenario” da quello delle interpretazioni e delle letture che, indipendentemente dagli anniversari, contribuiscono a renderlo nostro contemporaneo. Il Dante “da centenario” sappiamo che cosa ha rappresentato nella storia d’Italia: nel 1865, l’unità appena raggiunta; nel 1921, le “frontiere naturali” del nazionalismo dopo la Grande Guerra; nel 1965, l’unità linguista faticosamente conseguita dalla scuola di massa; oggi, forse l’aspirazione a intercettare il senso di un umanesimo “globale”. Sono stati e sono momenti significativi e importanti, anche se intermediati da forme culturali apparentemente non appropriate. Del resto, le nazioni sono magneti di memoria culturale e vivono anche di questo. Dopodiché, c’è il lavoro quotidiano dei ricercatori e dei divulgatori di qualità, che mi auguro – grazie a questa straordinaria occasione di pubblicità – possano incrementare il proprio pubblico permanente e riflessivo.