Anna Gabriella Chisena, Le prime stelle di Dante: astronomia e astrologia fra Vita Nova e Convivio, Longo Editore, 2024.
La vita e l’opera di Dante sono contrassegnate, provvidenzialmente, dal movimento dei cieli e dal bagliore delle stelle. L’astronomia è pertanto il sapere privilegiato che permette al poeta di orientarsi nella propria esistenza, biografica e letteraria. È questa l’idea fondamentale che è alla base de Le prime stelle di Dante: astronomia e astrologia fra Vita Nova e Convivio, libro pubblicato nella collana “Memoria del tempo” della casa editrice Angelo Longo di Ravenna. Nel volume Anna Gabriella Chisena esplora, per la prima volta in maniera sistematica, la presenza delle scienze celesti nelle prime opere dantesche. L’intento non è quello di fornire un commento completo ai brani astronomici contenuti in esse, allo stesso modo delle numerose opere pubblicate sull’astronomia della Commedia, né quello di individuare nuove fonti di tali passaggi, spesso soggetti a ardue interpretazioni. L’autrice vuole invece dimostrare in che modo la scientia astrorum abbia connotato l’esperienza di Dante autore – e influito sulla sua visione poetica e filosofica –, negli anni compresi tra il suo apprendistato fiorentino e il primo periodo dell’esilio.
L’analisi parte da una precisa consapevolezza dell’evoluzione della competenza astrale dell’Alighieri in tale periodo di riferimento e dal differente significato che essa assume negli scritti prodotti in tale arco temporale. Il cosmo teologicamente orientato della Vita Nova, in cui si inserisce l’esistenza miracolosa di Beatrice, è differente dalla visione scientifica che Dante offre qualche anno più tardi nel Convivio, opera in cui egli ambisce a presentarsi come un ‘filosofo’ (e connotata dall’esperienza dolorosa dell’esilio).
La lettura presentata da Chisena si interroga sulla ricostruzione dei contesti culturali in cui tali lavori vennero elaborati, accogliendo per il Convivio una possibile elaborazione in ambiente bolognese (secondo le recenti indicazioni della critica). Secondo una traiettoria non comune negli studi danteschi, nel libro si mostrano i dati relativi alla diffusione scritta e orale delle idee, delle dottrine e delle opere astronomiche e di filosofia naturale circolanti a Firenze e a Bologna tra la seconda metà del Duecento e i primi decenni del Trecento, prendendo in esame sia la produzione latina sia volgare. Se il primo capitolo indaga il differente statuto epistemologico dell’astronomia nel Medioevo – dottrina in cui convergono l’astrologia, la meteorologia e altre scienze che oggi assegneremmo a campi ‘scientifici’ diversi –, nel secondo sono analizzati, sub specie astronomiae, sia l’ambiente fiorentino, con le collezioni librarie di Santa Croce e Santa Maria Novella e la copiosa produzione in volgare, sia quello felsineo, con la presenza di una dettagliata carrellata delle opere, dei magistri e delle maggiori figure gravitanti in area emiliana nel corso del Duecento. Il terzo capitolo è dedicato alla lettura dei passaggi astronomici della Vita Nova, mostrando come la presenza di Alfragano, fino ad oggi sempre presupposta, sia invece affiancata da una differente visione cosmologica non derivata dall’astronomo arabo ma desunta dalla filosofia naturale aristotelica. Il cosmo dantesco è fin dall’inizio un cosmo filosofico orientato in senso cristiano, assolutamente originale e differente dai precedenti tentativi scientifici della prosa toscana del secondo Duecento (questi ultimi, rappresentati da Restoro D’Arezzo, Brunetto Latini e Bono Giamboni, per la prima volta indagati in modo sistematico). L’ultimo capitolo si sofferma invece sulla dimensione speculativamente più impegnata dell’astronomia del Convivio: la molteplicità dei temi affrontati rispetto al prosimetro giovanile conserva traccia di un lungo processo di apprendimento maturato attraverso la lettura e il confronto con i testi chiave aristotelici, primi fra tutti il De caelo e i Meteorologica (e con i commenti a tali scritti). Le tabelle allegate alla fine del volume, in cui si offre un regesto di tutti i passaggi astronomici del trattato filosofico, offrono una testimonianza diretta dell’importanza della scienza celeste nell’opera dantesca, in cui i cieli, sebbene concepiti filosoficamente, sono sempre presentati come strumento della divinità.