Il volume Per rima, per prosa. Dante: “Vita nuova” e “Rime” (a cura di Sergio Cristaldi, Milano, FrancoAngeli, 2021) raccoglie i contributi del convegno promosso nel novembre del 2019 dal Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, in collaborazione con il Gruppo Dante dell’Associazione degli Italianisti. Questi Atti si dividono in due sezioni: la prima è dedicata al libello giovanile, la seconda al corpus delle rime.
Gli interventi sulla Vita nuova presentano esplorazioni del suo complesso tracciato narrativo (Battistini, Cristaldi, Fenzi) e accertamenti dei modelli intertestuali (Carrai, Ledda, Maldina), non senza un’indagine sulla presenza del libello nelle opere di Boccaccio (Tramontana). Più numerose le questioni oggetto degli studi sulle rime, il che è ben comprensibile, dato lo scenario testuale assai meno unitario e compatto: vengono affrontati gli snodi della carriera compositiva di Dante (Casadei), il rapporto di Petrarca con l’eredità dantesca (Chines), la progressiva elaborazione della teoria dell’amore (Falzone), il tema onirico e visionario (Giunta), il rapporto tra le canzoni che definiamo solitamente “allegoriche” e l’auto-esegesi condotta dal Convivio (Grimaldi).
Nel saggio d’apertura, Andrea Battistini esamina il valore dei riferimenti autobiografici nella Vita nuova; a partire da un paragone contrastivo con la tradizione, che fa emergere l’originalità dell’autobiografismo dantesco. Sotto i riflettori, l’opera di selezione e filtraggio autoriale delle vicende, il raggiungimento e l’oltrepassamento del telos narrativo e, infine, la funzione universale assegnata da Dante alla dimensione storica. Sulle dinamiche della diegesi e della costruzione narrativa si concentra Sergio Cristaldi: da una minuziosa analisi del paragrafo relativo alla morte di Folco Portinari scaturisce un più ampio quadro del rapporto che Dante istituisce tra gli eventi, ponendoli come simboli e preannunci all’interno di un disegno provvidenziale. Un analogo interesse alle forme del racconto dantesco permette a Enrico Fenzi di riconoscere la morte di Beatrice come il fattore che garantisce la progressione narrativa del libello: la vicenda luttuosa, vero e proprio perno dell’opera, rappresenta il termine rispetto a cui si compie il percorso conoscitivo e poetico di Dante, che supera, grazie al riconoscimento del destino di gloria dell’amata, l’immobilità tipica della precedente lirica amorosa.
Stefano Carrai ravvisa nel prosimetro giovanile una decisiva filigrana virgiliana, individuando così nel libello l’opera allusa dal primo canto dell’Inferno, quella che ha valso a Dante, in quanto emulo di Virgilio, la reputazione e l’onore di poeta. Ampliando il catalogo dei contatti e delle riprese intertestuali nella Vita nuova, Giuseppe Ledda fa emergere la presenza strategica del modello paolino (e, più ampiamente, apostolico) in funzione auto-rappresentativa. Anche Nicolò Maldina esamina il rapporto tra il linguaggio dantesco e quello neotestamentario: in particolare, la ripresa del motivo geremiaco avvalora il ruolo contrastivo della donna gentile rispetto all’identità cristologica di Beatrice.
Carmelo Tramontana documenta l’impronta dantesca nelle opere di Boccaccio, evidenziando le più significative riprese della Vita nuova nel Filocolo, nonché gli affondi del Trattatello che promuovono la legittimità del “parlare fabuloso”, menzogna poetica entro cui è racchiusa una significativa verità.
L’indagine di Alberto Casadei apre la sezione dedicata alle rime, coniugando prospettiva filologica, biografica, storica ed ermeneutica. Casadei ricostruisce il contesto in cui Dante avrebbe deciso il definitivo abbandono del Convivio e discute le ipotesi relative all’ordinamento delle quindici canzoni distese, indicando in Pietro Alighieri il possibile artefice di tale organizzazione, ma aprendo anche all’eventualità di un intervento di più cultori dell’opera dantesca.
Loredana Chines passa in rassegna i giudizi espliciti e le allusioni indirette con cui Petrarca ha rimarcato la propria distanza da Dante, e si sofferma poi sul riuso delle tessere liriche dantesche nel Canzoniere; la studiosa segnala, sull’esemplare Vaticano della Commedia regalato a Petrarca da Boccaccio, la presenza di alcuni “forellini” o segni di richiamo, apposti dal poeta in corrispondenza dei luoghi danteschi per lui più suggestivi e rilevanti.
Nel suo contributo, Paolo Falzone allestisce una lettura di Amor che movi, individuandone la posizione all’interno della riflessione dantesca sull’amore e proponendo una puntuale parafrasi. Grazie anche al confronto con altre liriche dantesche, Falzone segnala il passaggio e la trasvalutazione di amore da affezione psicologica a evento naturale, leggibile attraverso le categorie dell’emanatismo platonico. Anche il saggio di Claudio Giunta capta, all’interno di un singolo componimento, i segnali di uno snodo decisivo del percorso dantesco. Esaminando il sonetto Io mi senti’ svegliar, Giunta coglie il funzionamento della memoria verbale dantesca, che innesta il racconto in una dimensione sacra, rinsaldando l’analogia Beatrice-Amore-Cristo. In conclusione, un affondo originale sull’estensione e i modi della visionarietà dantesca.
Marco Grimaldi esamina il gruppo delle rime cosiddette allegoriche e dottrinali, tentando un’interpretazione indipendente dalla regia del Convivio. Emancipandosi dal controllo dell’auto-esegesi dantesca, lo studioso suggerisce l’ipotesi che Dante abbia originariamente concepito quei testi come fondati sui modi di significazione “letterali”, e che soltanto dopo l’esilio abbia assegnato, nel trattato filosofico, il sovrasenso allegorico.
Molteplici sono dunque i versanti oggetto di questo volume. Esso in ogni caso offre verifiche convincenti e inediti arricchimenti interpretativi. Da qui il lavoro critico potrà riprendere con migliore consapevolezza e orizzonti più ampi.
Per rima, per prosa. Dante: “Vita nuova” e “Rime”, a cura di Sergio Cristaldi, Milano, FrancoAngeli, 2021
Si ringrazia il dott. Pietro Cagni per averci fornito la scheda del volume.